Expo: Giudizi e Non Solo

Vigilia di expo: ansiose attese, forzate rincorse durante lunghi mesi di imposta inattività, ed ora… tutti pronti al via. 
I temi? Quelli di sempre, che puntualmente ricompaiono quasi a voler ricordarci la nenia. Prospettive per tutti rosee allo start, nuove proposte che si affacciano, location rinnovate seppur note, soggetti già conosciuti che pretendono pista. Il tutto al vaglio dello strumento che risulta indispensabile alla causa: il giudice di razza. Rivangare un passato trascorso (seppur vicino), al fine di dover obbligatoriamente ricamare il prezioso operato del giudice di razza, appare superfluo. Ovvio che, il suo impegno morale, la sua credibilità corredata da fiducia, coscienza e preparazione, offrono una garanzia indiscutibile per l’accertamento circa la  «rispondenza dei soggetti alle caratteristiche tipiche della razza, unitamente alla bellezza relativa alla funzione che questi dovrebbero svolgere». 
Il ring con il suo “artefice” riesce sovente a esprimere altro – ultimamente ancor di più -, parla un linguaggio differente, quasi a voler o dover (suo malgrado) distorcere concetti che oggettivamente risultano essere cristallini quanto basilari attraverso disamine incomprensibili, soggettive, (purtroppo) inconfutabili, scarne anziché ben dettagliate, superficiali, incongrue, stonate e fuori logica, lontanissime dai pur comprensibilissimi dettami dello standard di razza. Atteggiamenti che risultano essere poco e per niente pregnanti e di insegnamento ad adepti e non. 
Una delle conseguenze più frequenti è quella di confrontarsi e sbattere la testa contro un numero sempre crescente – e frequente – di contraddizioni, difformità di giudizio di sovente stereotipate, e immotivatamente appioppate anche a soggetti di provato oggettivo valore, penalizzando chicchessia e collocando l’apprendimento ed il sapere in un limbo conseguentemente ed esclusivamente sterile. In questo scenario a dir poco fantasioso, appare puntuale e fatidico da parte di un numero sempre crescente di giudici di razza, disseminare pseudo-giudizi che ineluttabilmente spesso lasciano il posto ad interrogativi, insinuazioni, dubbi e perplessità. 
Ma il giudice non dovrebbe essere quel profondo conoscitore di razza, cosciente, imparziale, inattaccabile sotto qualsivoglia aspetto tecnico e morale, autoritario ma al contempo carismatico e dotto? Che non può e non deve mai  prestare il fianco a protesta o dubbio alcuno, percorrendo l’unica strada scevra di equivoco, remora e rimostranza polemica? Convenite con noi che quello di cui abbiamo più bisogno sono concetti quali chiarezza, oggettività, comprensibilità e completezza di excursus, bandendo talora evidenti personalismi e discrezionalità, protagonismi e scarsa credibilità, che dovunque – ma nella cinofilia in special modo – litigano con lo standard di razza, e ciò inevitabilmente non può che generare confusione a 360 gradi. L’inevitabile sconcerto che ne consegue, ne è la palpabile risultante. 
Perché, allora, non microfonare il giudice? Una espressione di tangibile trasparenza oggettiva ed inconfutabile, evidente, chiara a tutti, unica e sola. Forse, così, potremmo muovere il primo passo affinché si possa continuare a disquisire (e non solo) con piacere di chi apprezza la Cinofilia e non la blasfemia.


Aldo Carlucci

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Maria Assunta Carlucci

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